venerdì 17 luglio 2009

Camera Oscura - Episodio I


Un rumore convulso di tasti digitati si spandeva prepotentemente in una stanza buia, la sola luce del monitor s'irradiava per conferire una forma vaga a reale. Le mani piccole e tozze di un uomo si muovevano sicure lungo la tastiera “QWERTY” mentre il suo respiro affaticato, unito al ronzare del computer, accompagnava il silenzio sepolcrale dell'ambiente. Nel mentre, di poco a lato, una stampante vomitava fogli sporchi d'inchiostro sbiadito.
Il suo nome era
Richard, un ispano-americano sulla quarantina. Una persona schiva, alienata e con una particolare passione morbosa: la fotografia.
D'un tratto distolse la sguardo stanco dal monitor per alzarsi dalla sedia. Non sentiva più le gambe perciò decise di farsi una camminata per casa: aveva passato troppe ore davanti al personal computer. Attivò l'interruttore della camera e alzò la tapparella della finestra per fare entrare un po' di luce. Deludente, pensò, come al solito ho perso la cognizione del tempo e anche oggi non sono riuscito a beccare la luce del giorno che mi serve...
L'ambiente, illuminato a tratti da una luce azzurrina data un neon mal funzionante, mostrò i segni del classico scapolo emarginato e, chiaramente, solo: c'erano panni sporchi per terra e in disordine, il letto sfatto con lenzuola dall'odore indescrivibile, la scrivania con sopra il computer piena di oggetti incoerenti come ottiche fotografiche, lenti, matite, penne fogli, preservativi. Ma lo spettacolo più agghiacciante era dato dai pannelli di legno truciolato appesi sui muri, ricolmi di foto in cui erano impressi i momenti, le gioie e i dolori di un singolo essere umano: una donna bellissima dai capelli rossi, dagli occhi verde abete e la carnagione vagamente olivastra. La sconosciuta, dal corpo magro e agile, con varie comparse al fianco dovute dalle differenti occasioni, era la protagonista di ogni scatto.
Cena a base di sushi a Chicago Downtown.
Click.
Serata anni '80 al pub tra Ontario e LaSalle.
Click.
Cena da amici in zona Lincoln Park.
Click.
Cambio di biancheria intima a casa.
Click.
Di lato una porticina emanava un bagliore rosso, una camera oscura per pensieri oscuri. Sbadigliò sfregandosi gli occhi intorpiditi per poi frugarsi nelle tasche e trovare un accendino. Subito dopo, si portò alle labbra una sigaretta alla marijuana, importata illegalmente dall'India. Poi, meditando sul prossimo obiettivo, andò in bagno per darsi una rinfrescata e svuotarsi di un grande peso sullo stomaco.
Seduto sul cesso, aspirava con forza la sigaretta e pensava Devo trovare un modo per conoscerla. Ci deve essere un punto di contatto minimo per stare con lei, per guardarla senza dare l'impressione di... essermi fissato maniacalmente... Io... io non sono pazzo. La testa iniziava a pulsare, il cuore pompava nel sangue tutta la sporcizia contenuta nella sigaretta drogata, gli occhi si inumidirono e il bagno iniziò a danzargli intorno. Non credo ci sia stata messa semplice marijuana qui dentro, pensò durante il primo colpo di tosse e, prima di svenire, esclamò con voce fioca: «Merda...»
Un insistente bussare alla porta riportò Richard nel mondo vero, fatto di carne, sangue, sudore ed escrementi. Scosse la testa e si tirò qualche schiaffo sulle guance per riprendersi mentre sentiva ancora nel corpo quella sensazione di vuoto disorientante dovuta alla sigaretta. Si guardò intorno e notò che s'era addormentato sulla tazza, mentre una voce attutita chiedeva dall'esterno se ci fosse qualcuno in casa. Si sciacquò il viso e corse velocemente a mettersi qualcosa addosso per poi scendere giù e vedere chi è che gli stava rompendo le palle. Dalla luce che entrava dalla finestra lasciata aperta in camera, comprese che era giorno, ma non riuscì a dedurre che ora fosse.
La porta continuava a incassare i colpi della persona che lo aveva svegliato e la voce continuava a chiamarlo insistentemente. Lui rispose con un impastatissimo: «Sto arrivandooo!!»
«C'è nessuno?» chiese ancora la voce, ormai stanca di ripetersi.
«Un momento!» rispose Richard che velocemente e senza guardare chi fosse alla porta, aprì rimanendo folgorato: era la donna di cui era ossessionato.
«Salve» disse lei con un lieve imbarazzo «Mi chiamo Kathrine Jones, sono la sua vicina di casa. Per mesi ho visto le tapparelle chiuse e pensavamo che ci vivesse un fantasma. Ma stamane affacciandomi non ho potuto fare a meno di notare che una finestra era spalancata e così ho pensato: “Perché non conoscere il nuovo vicino?”».
Lui rimase senza fiato. Gli obiettivi che usa per “lavoro” non riuscirebbero mai a rendere giustizia a una delle donne più affascinanti del creato. Provò a dire qualcosa ma iniziò a tossire a causa della saliva andata di traverso e di quello che aveva fumato.
«Ehi, tutto bene?» intervenne lei.
Lo sguardo di Richard era perso, il viso stava arrossendo e le tosse era sempre più violenta, asfissiante. Kathrine provò ad assestargli qualche buono schiaffo sulla schiena, per farlo deglutire. E, poco dopo, il rossore scomparve e l'uomo assunse una respirazione e una postura normali.
«Ciao» disse chiosando con un colpettino di tosse e catarro «devo ammettere che non esco molto di casa durante in pieno giorno e, per motivi lavorativi, devo prediligere le albe e i tramonti... E l'altra metà del mio lavoro si svolge qui... Diciamo che non ho molte occasioni per avere interazioni sociali efficienti.»
La donna sgranò gli occhi, poi provò a dire qualcosa ma si fermò.
Richard proseguì: «Comunque mi chiamo Richard, Richard Dunsome, piacere» disse porgendo la mano.
«Il piacere è mio» rispose lei contraccambiando il gesto.
Mentre lui le stringeva la mano, si sentiva combattuto tra la voglia di sapere se tutta quella situazione imbarazzante fosse reale e la paura che si ha quando si tocca la persona più sacra dell'universo. Non sapendo come esprimere al meglio il gesto, infine scelse una via di mezzo, partorendo una stretta di mano grigia e anonima. Ciò nonostante lei non se ne ebbe a male, cosa che destò curiosità in lui.
«Le andrebbe di venire da me per un thé?»
A quella domanda lui si sentì disarmato e privo di ogni capacità di resistere alché rispose con timido cenno d'assenso.
«Facciamo tra mezz'ora?» incalzò lei.
«Beh...» farfugliò Richard.
«Non si faccia pregare, guardi che il tempo scorre per tutti...»
Il tempo scorre per tutti, pensò, ma chi altri aveva usato una simile espressione con me? Mmm... Maledetta marijuana...
«Ok, andata! A tra poco... un secondo, ma lei dove abita?»
«Due case dopo la sua.»
«Allora va bene, Miss Jones...» disse indietreggiando verso casa e appoggiandosi allo stipite della porta.
«Mi chiami Kathrine» lo interruppe lei.
«Ok, Kathrine, il tempo di mettermi in sesto e sarò da lei, va bene?» disse lui chiudendo la porta velocemente.
Poi rimase immobile scrutando attraverso lo spioncino. Il viso deformato e sorridente di lei stava sicuramente pensando a cosa fare durante l'attesa. Lui si voltò di scatto e percorse le scale, dirigendosi verso il bagno per andarsi a svegliare.
Non aveva ancora realizzato che quello che era appena accaduto era vero quanto le parole scritte sin qui.
[CONTINUA...]

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